Criteri informatori del Movimento Antispecista
Premessa
Il razzismo giustifica la lotta tra le specie - e nell'ambito della stessa specie - con il principio premorale della selezione naturale. Pertanto, opera una classificazione degli esseri viventi (anche umani) in base al presunto grado di "superiorità", riconoscendo o meno ad essi - arbitrariamente - i diritti alla vita, alla libertà, e all'uguaglianza.
Lo specismo limita tale concetto alle specie diverse da quella umana, ritenendo solo quest'ultima degna di tali diritti, in base ad una concezione esclusivamente antropocentrica.
L'etica aspecista, alla quale il Movimento si informa, nasce dal principio che i diritti alla vita, alla libertà, e all'eguaglianza non possano essere negati ad alcun essere cosciente e sensibile (ossia senziente), nell’ambito delle esigenze della specie di appartenenza.
La semplice differenza biologica con le altre specie non può infatti costituire pregiudizio al godimento di diritti così fondamentali, nell'ambito delle esigenze naturali di ognuna di esse. È peraltro ormai scientificamente provato che gli animali non umani sono esseri senzienti, che l'uomo non necessita della carne degli altri animali per alimentarsi ove siano disponibili fonti alternative, e che le materie prime di origine animale possono essere sostituite da quelle di origine vegetale o inorganica. Pertanto, le tradizioni che sancivano la funzionalità dell'animale all'uomo non trovano più giustificazione. Ne consegue che l'etica specista potrà essere gradualmente abbandonata. Ciò avverrà tanto più rapidamente quanto più verranno diffuse le opportune conoscenze.
A livello filosofico, il Movimento Antispecista si informa pertanto - avendoli come fine primario - ai seguenti principi:
Non
uccidere, far soffrire o discriminare esseri senzienti.
Non
utilizzare risorse derivanti dallo sfruttamento di esseri senzienti.
La corretta interpretazione di tali enunciati (con particolare riferimento agli animali non umani) richiede alcuni chiarimenti, tenendo presente che porli come "fine primario" lascia alla coscienza individuale le scelte relative alla eventuale difficoltà di rispettarli, ferma restando la continua ricerca della loro realizzazione.
I principi trovano peraltro eccezione solo nel caso di "estrema necessità e difesa personale", ovvero negli atti inevitabili volti a salvaguardare da un pericolo grave ed imminente la sopravvivenza, la salute e l'integrità fisica individuale o collettiva in assenza di alternative, o nella pratica impossibilità di osservarli.
1. Non uccidere, far soffrire, o discriminare esseri senzienti.
a) Nel "non uccidere", ad esempio, l'eccezione è rappresentata dal cibarsi di alimenti di origine animale non umano ove manchino alimenti vegetali, o sopprimere individui pericolosi ed aggressivi (inclusi microrganismi) in assenza di alternative, ovvero praticare l'eutanasia ove essa sia nell'interesse dell'individuo stesso. Per quanto riguarda i vegetali, pur essendo riconosciuto che sono esseri sensibili (anche se in misura difficilmente quantificabile), allo stato attuale non è possibile eliminarli dall’alimentazione umana, benché si dovrebbe dare la preferenza a cibarsi dei frutti piuttosto che della pianta.
b) Per quanto riguarda il "non far soffrire", sono inclusi in tale principio, oltre ovviamente alle violenze fisiche, anche quelle psichiche, quali: limitarne la libertà (ove trattasi di individui naturalmente autonomi), e custodirli inadeguatamente (ove trattasi di individui naturalmente non autonomi).
Appartengono alla categoria degli "autonomi" gli animali in grado di riprodursi e sopravvivere in natura, per i quali ogni restrizione della libertà rappresenta una sofferenza, se non la morte. Rientrano in questo caso gli animali selvatici catturati o nati in cattività da specie selvatiche e detenuti negli zoo, nei circhi, o in abitazioni private e quindi soggetti a stress psicologici con risultati ben noti (crisi di aggressività, incapacità riproduttiva, pazzia, etc.).
Appartengono alle specie non in grado di sopravvivere in natura gli animali addomesticati o allevati dall'uomo, non in grado di procurarsi il cibo autonomamente, e che devono pertanto convivere con gli esseri umani.
Il principio mira a permettere a tutti una vita connaturata alle esigenze della propria specie, il che comporta rispettarne le necessità biologiche e sociali. In sintesi, si vuole riconoscere agli animali non umani la dignità di esseri senzienti quali essi sono, trattandoli come nostri pari.
Lo stato ideale del rapporto uomo-animali è quindi rappresentato dalla convivenza, nel massimo rispetto delle esigenze reciproche, dalla quale possono anche derivare, senza indurre sofferenze, prodotti o servizi utili all'uomo, così come alle altre specie; rapporto individuabile in una specie di "simbiosi" non priva di valori affettivi. Ciò comprende ovviamente l'averne cura anche sotto il profilo sanitario, curando gli animali naturalmente ammalatisi ed effettuando solo su di loro le necessarie ricerche, tenendone presente la sensibilità e la consapevolezza.
c) In merito al "non discriminare" ogni comportamento nei confronti delle altre specie in funzione della specie stessa, dell’empatia che genera nell’umano, e/o della destinazione d'uso umana, va considerato ‘specista’. Tale è, ad esempio, definire alcune specie o individui da reddito”, "da lavoro", "da alimentazione" "da pelliccia" o “da compagnia”, etc., prevedendo per legge un diverso trattamento a seconda della "categoria di utilizzo" alla quale l'uomo li ha destinati. In particolare, va considerato specista proteggere maggiormente individui di specie così dette "da affezione o compagnia" (es. cani, gatti, cavalli, etc.) in quanto “proprietà" di un essere umano, lasciando invece che ad altri individui delle stesse specie possa essere tolta tale protezione e possano essere utilizzati per la sperimentazione animale o vivisezione.
Quanto sopra è peraltro esplicitamente ammesso dalla Dichiarazione Universale dei Diritti degli Animali del 1978 alla quale opportunisticamente viene fatto spesso riferimento. Ne consegue che se si provano a depurare le abitudini sociali dai principi specisti (religiosi e filosofici) che vorrebbero giustificarle, queste non possono che apparire per quello che realmente sono: l'estensione del razzismo alle specie non umane, altresì detto ‘specismo’.
2. Non utilizzare risorse derivanti dallo sfruttamento di esseri senzienti.
Il principio si riferisce all'utilizzo di tutti i prodotti che fanno parte della vita quotidiana, e che provengono dallo sfruttamento di animali umani o non umani, ossia dalla sofferenza di esseri senzienti. Lo sfruttamento illegale e disumano di lavoratori salariati, o l’utilizzo di accessori in pelle essendo oggi disponibili indumenti o beni di consumo alternativi, rappresentano del pari un comportamento specista.
Se non è possibile pretendere che all'improvviso gli umani si alimentino seguendo una dieta vegetariana o vegana, per ragioni sia sociali sia pratiche, è invece possibile e doveroso porsi come obiettivo il rispetto della dignità del lavoro umano e l'uso di prodotti "cruelty-free". Ed è la coscienza individuale che deve guidare le possibili scelte.
Il caso di coscienza più serio e diffuso riguarda peraltro l'uso dei farmaci (sia tradizionali, sia omeopatici) che vengono testati sugli animali non umani prima di essere messi in commercio, ossia la cosiddetta sperimentazione animale, che sostituisce solo di nome la "vivisezione", termine ambiguo che ricorda esperimenti cruenti oggi vietati ma che anche oggi puo’ applicarsi ad alcune tipologie di test utilizzate per la verifica della tossicità di famaci e sostanze chimiche (es. esperimenti definiti dalla direttiva 2010/63 della UE ‘gravi’ o ‘moderati’). Ad esempio, i test denominati LD 50 o LC50 che prevedono la sperimentazione di tali sostanze su animali non umani vivi, per iniezione o inalazione, e che misurano la tossicità di tali sostanze in corrispondenza alla morte del 50% degli individui sottoposti a tale test, spesso tra atroci sofferenze e ovviamente senza possibilità alcuna di anestesia, non possono che essere assimilato alle pratiche vivisettorie in uso da sempre e fino all’emanazione di tale direttiva. Non è dunque vero che oggi l’anestesia viene praticata in tutti i test obbligatori per legge, in quanto tale direttiva la esclude infatti per i test così detti ‘regolatori’, ossia imposti dai regolamenti UE e internazionali. Per un ulteriore approfondimento di tali temi si suggerisce di leggere il documento ‘Sul superamento della sperimentazione animale, disponibile sul sito del Movimento Antispecista alla voce ‘Dossier’.
Per assurdo, proprio l'utilizzo di farmaci sperimentati "per legge" sugli animali non umani rappresenta il caso tipico della difesa personale, in quanto veramente senza alternative. Come può rifiutarsi l'utilizzo di un farmaco vitale, anche se si sa come è stato sperimentato, se non vi è altro mezzo certo per curarsi? L'ipocrisia non è quindi dalla parte del malato, ricattato, ma da quella della legge, che impone una tale situazione.
Metodologia di diffusione dell'etica aspecista
L'applicazione dei concetti aspecisti è un esercizio che richiede costante impegno ed attenzione, in quanto moltissimi dei prodotti e servizi che si usano nella vita quotidiana derivano da concezioni opposte. Sradicare tale tipo di cultura significa far fare all'umanità un salto di qualità paragonabile all'abolizione della schiavitù. Far evolvere la morale corrente verso un'etica interspecifica più matura è quindi il traguardo più ambizioso che l'umanità possa porsi nel nuovo millennio.
Escludendo a priori orizzonti temporali entro i quali operare, rimane il fatto che occorre trattare con persone abituate a considerare gli animali come oggetti, o entità ostili. Quando si analizza la "divisione della coscienza" di cui è vittima la maggior parte delle persone (ad esempio proteggere ed amare gli animali di casa e accettare passivamente la sorte degli altri, convinti che sia giusto), è chiaro che occorre agire in modo penetrante ma misurato, onde non suscitare violente reazioni che sfociano in tristi luoghi comuni. Il compito sarebbe indubbiamente più semplice se il messaggio antispecista fosse indirizzato solo ai giovani. Ma non ci si può limitare a questi ultimi. Né ci si può limitare a "dare l'esempio" trattandosi di un problema che non coinvolge solo stili di vita o semplici opinioni filosofiche, ma primariamente sofferenze imposte ad esseri senzienti. Né si deve, peraltro, ricorrere alla violenza, non essendo questa ammessa dai principi aspecisti e controproducente.
La strategia più adatta par quindi la diffusione dell'informazione tramite un’ opportuna comunicazione. Occorre però che l'informazione sia veritiera, basata su dati scientifici e completa. Uno dei mezzi più efficaci è l’utilizzo di siti specifici a livello didattico e l’effettuazione di corsi e conferenze. Il Movimento Antispecista sostiene per principio tali iniziative, nei limiti delle possibilità economiche dei propri aderenti, non disponendo per statuto di mezzi finanziari. Tale scelta è stata effettuata allo scopo di evitare che la raccolta e la gestione dei fondi, incluse le quote sociali, possa incidere sull’attività dell’associazione e trasformarsi, come accade, in un fattore limitante e in conflitti di interesse tra gli aderenti. L’indipendenza da ogni vincolo finanziario è pertanto un mezzo prescelto dai fondatori per assicurare ai partecipanti la libertà di opinione, l’aderenza alla verità, e la dedizione agli scopi sociali.
Forma giuridica del Movimento Antispecista
Il Movimento ha assunto la forma giuridica dell'associazione di fatto "non-profit", non essendovi nelle finalità sociali alcun fine di lucro, né essendo previsti a nessun titolo oneri, proventi, patrimoni o lasciti, con la sola eccezione del Fondo comune, garantito dal Rappresentante, e obbligatorio per legge. Pertanto, la forma contrattuale (Statuto) non è vincolata alle regole delle associazioni riconosciute, benché ne siano stati ovviamente rispettati i requisiti di democraticità e la struttura, e non necessita della tenuta dei libri contabili e della redazione del Bilancio, rappresentando il Registro delle assemblee e delle delibere l'unico documento sociale.
Milano, 01/05/2001 (rev. 15/06/2004).
Metodologia di diffusione dell'etica aspecista
L'applicazione dei concetti aspecisti è un esercizio che richiede costante impegno ed attenzione, in quanto moltissimi dei prodotti e servizi che si usano nella vita quotidiana derivano da concezioni opposte. Sradicare tale tipo di cultura significa far fare all'umanità un salto di qualità paragonabile all'abolizione della schiavitù. Far evolvere la morale corrente verso un'etica interspecifica più matura è quindi il traguardo più ambizioso che l'umanità possa porsi nel nuovo millennio.
Escludendo a priori problemi di orizzonti temporali entro i quali operare, rimane il fatto che occorre muoversi in una realtà sociale abituata a considerare gli animali come oggetti, o entità ostili. Quando si analizza la "divisione della coscienza" di cui è vittima la maggior parte delle persone (ad esempio proteggere ed amare gli animali di casa e accettare passivamente la sorte degli altri, convinti che sia giusto), è chiaro che occorre agire in modo penetrante ma misurato, onde non suscitare violente reazioni. Né ci si può limitare a "dare l'esempio" trattandosi di un problema che non coinvolge solo stili di vita o semplici opinioni filosofiche, ma primariamente le sofferenze imposte ad esseri senzienti. Né si deve, peraltro, ricorrere alla violenza, non contemplata nei principi aspecisti.
La strategia più adatta è quindi, come sempre, la diffusione dell'informazione tramite una opportuna tecnica di comunicazione. Occorre però che l'informazione, oltre che mirata, sia vera e completa.
Uno dei mezzi più pratici individuabili a tale scopo è la distribuzione di un documento di base (es. il Notiziario) che metta sotto accusa la società per la crudeltà con la quale agisce, ma nel contempo fornisca tutte le informazioni necessarie per adottare il nuovo stile di vita.