CINGHIALI E NON SOLO ...

Estratto dal Notiziario del Movimento Antispecista n. 4/2022

   La gestione della fauna selvatica è oggi affidata principalmente, in Italia,

-  alla legge n. 157 del 1992: ‘Norme sulla protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio’,

- alla direttiva 92/43-CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali nonché alla flora e alla fauna selvatiche,

- alla direttiva UE 2009/147 CE sulla ‘conservazione degli uccelli selvatici’, e

- al regolamento UE 1143/2014: ‘.. Recante disposizioni volte a prevenire e gestire l’introduzione e la diffusione delle specie esotiche invasive’[1].

Per quanto riguarda il cinghiale (Sus scrofa), tale specie non è citata tra quelle particolarmente protette dalla direttiva Habitat, ed è autoctona, quindi non ricade tra le specie esotiche invasive né di rilevanza unionale, né nazionale, ai sensi del citato regolamento 1143/2014. Di conseguenza, la gestione dei cinghiali nel nostro Paese resta soggetta a quanto previsto dalla legge nazionale 157/92, che include tale specie tra quelle cacciabili (art. 18.d) nel periodo che va dal 1/10 al 31/12, ovvero dal 1/11 al 31/1. Quindi, in pratica, considerati i gravi danni arrecati all’agricoltura, nonché gli aspetti sanitari connessi al diffondersi di certe malattie (v. peste suina), la caccia è diventata la norma in Italia per tentare di controllare la proliferazione di tale specie, sebbene sia ormai universalmente riconosciuto che tale metodo non risolve il problema. Anzi, in parte lo crea[2].

        Occorre quindi prendere in esame la situazione nella sua globalità, e solo nel caso vi siano squilibri, per tentare di individuare la via che possa portare a metodi di controllo non violenti della popolazione di cinghiali e degli animali non umani che vivono in libertà (detti ‘selvatici’), nel rispetto dei principi etici che non possono non caratterizzare il rapporto tra umani e non umani, principi oggi sempre più richiamati dalle norme giuridiche comunitarie e nazionali.  

        Per quanto attiene alla diffusione della specie, in base alla documentazione più recente relativa ad un convegno promosso in Piemonte da un gruppo di associazioni[3] e in Abruzzo dall’Amministrazione del  Parco del Gran Sasso e Monti della Laga[4], non si hanno dati precisi sul numero di cinghiali presenti in Italia, in quanto i censimenti sono stati dichiarati impegnativi e onerosi, e quindi spesso non vengono fatti. Infatti, i cinghiali hanno abitudini prevalentemente notturne e inoltre le fluttuazione degli incrementi annui della loro popolazione rendono le stime molto difficili. Pertanto, si preferisce ricorrere a indicatori generici quali gli ‘indici di abbondanza’ per indicarne l’andamento nelle varie aree. Si stimano comunque uno/due milioni di individui ad oggi sul territorio nazionale. Secondo quanto pubblicato dal ‘Tavolo Animali & Ambiente’, in Piemonte fino agli anni ’70 del secolo scorso i cinghiali erano rari, presenti solo in alcune aree della penisola e assenti sulle Alpi e il danno causato era pressoché inesistente. Tra gli anni ’70 e ’80 però, con soldi pubblici e a fini venatori, vennero immessi - anche in altre regioni - centinaia di esemplari d’allevamento, oltre ad esemplari provenienti dall’Est europeo, più grossi e prolifici, il che ha reso a volte problematica la situazione. A metà anni ’80 venne introdotto il divieto di immissione della specie, successivamente ribadito a livello nazionale dalla L. n. 221/2015[5] esentando però le aziende faunistico-venatorie ove opportunamente recintate, per cui fughe o rilasci abusivi non possono oggi considerarsi del tutto esclusi. Secondo lo studio effettuato in Abruzzo, dal Parco del Gran Sasso e Monti della Laga, l’andamento della popolazione dei cinghiali, studiato nel periodo 2006-2018, ha mostrato una significativa variabilità annuale, imputata anche all’andamento climatico, con una decrescita particolare nel periodo 2014-2018 di circa il 62%, pare anche per effetto della crescente popolazione dei lupi. Per converso, i dati registrati relativi a danni, indennizzi e incidenti, mostrano una tendenza del tutto contraria. Oggi comunque questa specie è praticamente diffusa in tutta Italia.

        A livello della dannosità della specie, i danni alle colture agricole appaiono  quelli più rilevanti, in quanto il cinghiale è una specie onnivora; per cui quasi tutte le colture sono suscettibili di esserne danneggiate. Dalle patate al mais, dagli orti ai frutteti, fino ai prati,  rivoltati alla ricerca di insetti, bulbi e tuberi. Ma anche i danni alla biodiversità pare non siano da sottovalutare a causa dell’impatto dell’attività di scavo su zoocenosi e fitocenosi rare, in particolare nei parchi naturali[6].

        Per quanto riguarda la sicurezza umana, è noto che i cinghiali non attaccano gli esseri umani se non quando vengono aggrediti e sono senza possibilità di fuga, e/o quando le femmine vedono minacciati o catturati i propri cuccioli. Tuttavia, trattandosi di soggetti di una certa dimensione e forza, il contatto anche casuale con gli umani può essere causa di infortuni, o possono verificarsi incidenti d’auto sulle strade che attraversano aree boschive, come del resto può accadere con gli altri ungulati.

        I metodi per il controllo della diffusione dei cinghiali, secondo le suddette fonti, sono fino ad oggi a livello istituzionale limitati in genere alla caccia selettiva secondo calendari stabiliti dalle regioni, anche in deroga ai periodi stabiliti dalla legge 157/92 (art. 18) e nonostante tale legge (art.19.2) preveda che il controllo di norma sia effettuato mediante l’utilizzo di metodi ecologici, su parere dell’ISPRA. Il riferimento a metodi ecologici tuttavia non significa aver cura del benessere degli individui, bensì dell’ecosistema, per cui tale indicazione andrebbe integrata con un concetto appropriato mirante al rispetto degli esseri senzienti, ossia ‘impiegando metodi non  violenti’. Il motivo del ricorso alla caccia va peraltro ricercato nell’assenza di indicazioni alternative da parte dell’ISPRA, per cui si finisce col ricorrere alla caccia selettiva nonostante si sia rivelata un metodo non etico e non efficiente[7].

        Tra i rimedi proposti dalle associazioni[8], a parte il divieto di caccia e l’uso dei cani, figurano: l’abrogazione dell’art. 842 del c.c.[9],  il divieto di allevamento e trasporto dei cinghiali (per prevenire immissioni abusive), il divieto di commercializzazione delle loro carni, la difesa delle colture tramite moderni recinti elettrificati, l’utilizzo di dissuasori acustici ad ultrasuoni, e la differenziazione delle colture (l’orzo e gli altri cereali tricomatosi, evitati dai cinghiali, dovrebbero infatti essere piantati vicino alle aree boscate, mentre il mais e i cereali non tricomatosi dovrebbero essere piantati lontano). Ed infine, l’intensificazione della contraccezione, sia tramite la ‘telecontraccezione’ (ossia l’inoculazione di un vaccino contraccettivo con un’iniezione effettuata a distanza con l’utilizzo di un’arma), sia tramite l’utilizzo di farmaci assunti per via orale (data la possibilità di assunzione dei mangimi tramite diffusori meccanici speciali detti BOS[10] azionabili solo dai cinghiali, per evitare di coinvolgere altre specie).

        Attualmente, gli interventi possibili circa la prevenzione dei danni e dei rischi non possono quindi che indirizzarsi a quanto sopra raccomandato dalle associazioni specie per le zone intensamente abitate. Eccezionalmente, e solo ove sia effettivamente riscontrato uno squilibrio che metta a serio rischio quello ecologico, si potrebbe far ricorso ai farmaci contraccettivi.  La soluzione più economica in tal senso parrebbe oggi individuarsi nella ricerca di quelli ‘specie-specifici’, assumibili per via orale, tipo quelli attualmente allo studio presso il centro inglese APHA (U.K.)[11], così come indicato nel citato rapporto ‘Piano di gestione dei cinghiali del Parco Gran Sasso e Monti della Laga’. Alle caratteristiche tecniche di tali farmaci, riportate nel rapporto suddetto, andrebbe però aggiunta la proprietà di rispettare il benessere di tali esseri senzienti, e non solo di essere privo di effetti collaterali ‘indesiderati’ non ben specificati. Tuttavia, non essendo tale tipologia di intervento risolutiva, in quanto assai limitata nel rapporto costi/benefici, nello spazio e nella durata dell’efficacia, è preferibile indirizzarsi all’applicazione di un metodo che, oltre primariamente a rispettare la vita e il benessere dei non umani quali esseri senzienti, gli aspetti ecologici, e la sensibilità umana, consenta altresì di evitare il ricorso a continui interventi, senza peraltro mai raggiungere uno stato sostenibile. In tal senso ben vengano le iniziative legislative miranti a limitare o vietare la caccia , che è il primo ed essenziale passo per non far incrementare la popolazione in maniera innaturale.

        La questione della gestione degli animali non umani che vivono allo stato libero, sia autoctoni, sia alloctoni, andrebbe quindi risolta nel senso di bilanciare gli interessi umani con quelli delle altre specie in un’ottica aspecista, ossia non discriminatoria, applicando i criteri di valutazione, nei rapporti intra e interspecifici, nello stesso modo[12], tenendo presente che anch’esse hanno interessi e che è stato riconosciuto loro lo status di ‘esseri senzienti’.

 

Carlo Consiglio, Massimo Terrile

 

20 settembre 2022



[1] Regolamento 1143/2014 (UE). Estratto:

Art. 3: Definizioni.

1)   «specie esotica»: qualsiasi esemplare vivo di specie, sottospecie o taxon inferiore di animali, piante, funghi o microrganismi spostato al di fuori del suo areale naturale; sono compresi le parti, i gameti, i semi, le uova o i propaguli di tale specie, nonché gli ibridi, le varietà o le razze che potrebbero sopravvivere e successivamente riprodursi;

2)   «specie esotica invasiva»: una specie esotica per cui si è rilevato che l'introduzione o la diffusione minaccia la biodiversità e i servizi ecosistemici collegati, o ha effetti negativi su di essi;

3)   «specie esotica invasiva di rilevanza unionale»: una specie esotica invasiva i cui effetti negativi sono considerati tali da richiedere un intervento concertato a livello di Unione in conformità dell’articolo 4, paragrafo 3;

4)   «specie esotica invasiva di rilevanza nazionale»: una specie esotica invasiva, diversa da una specie esotica invasiva di rilevanza unionale, della quale uno Stato membro in base a prove scientifiche considera significativi per il proprio territorio, o per una sua parte, gli effetti negativi del rilascio e della diffusione, anche laddove non interamente accertati, e che richiede un intervento a livello di detto Stato membro.

[2] Cfr. Carlo Consiglio: Occorre abbattere i cinghiali per limitarne i danni? in www.fanpage.it, 07/01/2014, Ancora sui danni del cinghiali, in www.fanpage.it, 28.02.2017, e Terzo articolo sul cinghiale in www.carloconsiglio.it/cinghiali3.pdf , marzo 2020.

 [3] www.animaliambiente.it : Tavolo Animali & Ambiente > Manifesto Ideologico del Tavolo Animali & Ambiente >  Cinghiali: facciamo un po’ di chiarezza, sito visitato il 19.08.2022. Associazioni partecipanti: ENPA, LAV, Legambiente Piemonte e Val d’Aosta, LIDA, LIPU, OIPA, PAN, Pro Natura Torino, SOS Gaia.

[4] Piano di Gestione del cinghiale | Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga (gransassolagapark.it)

[5] L.n. 221/2015 c,d, sulla ‘Green economy’, art. 7: “Disposizioni per il contenimento della diffusione del cinghiale nelle aree protette e vulnerabili e modifiche alla legge n. 157 del 1992.

1. È vietata l'immissione di cinghiali su tutto il territorio nazionale, ad eccezione delle aziende faunistico-venatorie e delle aziende agri-turistico-venatorie adeguatamente recintate. Alla violazione di tale divieto si applica la sanzione prevista dall'articolo 30, comma 1, lettera l), della legge 11 febbraio 1992, n. 157.

2. È vietato il foraggiamento di cinghiali, ad esclusione di quello finalizzato alle attività' di controllo. Alla violazione di tale divieto si applica la sanzione prevista dall'articolo 30, comma 1, lettera l), della citata legge n. 157 del 1992.

[6] www.gransassolagapark.it : op. citata, pg. 7.

[7]www.gransassolagapark.it : op. citata, v. Discussione, pag. 225: “Il presente studio fornisce un quadro preliminare delle caratteristiche riproduttive del Cinghiale nel Parco, un dato importante perché fornisce indicazioni sulla biologia della specie in assenza del prelievo venatorio, che come dimostrato può provocare una destrutturazione della popolazione che influisce sul potenziale riproduttivo delle femmine, anticipandone l’attività riproduttiva (Gamelon et al. 2011).

[8] www.animaliambiente.it : Cinghiali, è ora di cambiare.

[9] L’art. 842 c.c. dispone che “il proprietario di un fondo non può impedire che vi si entri per l’esercizio della caccia, a meno che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia o vi siano colture in atto suscettibili di danno. Egli può sempre opporsi a chi non è munito della licenza rilasciata dall’autorità. Per l’esercizio delle pesca occorre il consenso del proprietario del fondo”.

La legge 157/92 citata prevede infatti che non possano essere destinati alla caccia i fondi dei proprietari o conduttori che vi si oppongano (art. 10 comma 17) in base alla procedura stabilita (art. 15). Va comunque notato che è difficile ottenere dalle Regioni l’autorizzazione alla recinzione; occorrerebbe quindi modificare la L. 157/92 per consentire più facilmente ai proprietari di recintare i propri fondi, e comunque abolire il suddetto art. 842 c.c. in quanto superato.

[10]www.gransassolagapark.it , op. citata, pg. 72: “Il ‘BOS’ (Boar-OperatedSystem), concepito come sistema di distribuzione di esche ai cinghiali, consiste in un palo di metallo, piantato a terra, lungo il quale scorre un cono la cui base poggia su un piatto metallico sul quale vengono poste le esche contenenti un qualsiasi vaccino. Il cono, che pesa circa 5 kg, protegge le esche e deve essere sollevato da un animale che voglia consumare tali esche. Esperimenti in cattività e sul campo hanno permesso di stabilire che il BOS consente ai soli cinghiali e non ad altre specie di cibarsi delle esche.”

[11]Wildlife fertility control - APHA Scientific (defra.gov.uk).

[12]Cfr. Valerio Pocar, Oltre lo specismo, Mimesis, Eterotropie, 2020, pg. 17.